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Sciopero Nazionale 12 dicembre

 Da un lato c’è il rischio burnout, parola che in italiano si traduce bruciato. Bruciato da uno stress ripetuto, quotidiano, causato da orari e luoghi di lavoro inadeguati. Dall’altro, le promesse della politica di trovare le risorse necessarie per uscire dalla crisi. Visioni contrapposte di una stessa realtà: il futuro del Sistema Sanitario Nazionale. Descrizioni messe in scena su unico palcoscenico “allestito”, nella Sala Capranichetta in Piazza Montecitorio, a Roma, dai rappresentanti di categoria di medici, veterinari e dirigenti medici per spiegare le ragioni dello sciopero nazionale, proclamato per il prossimo 12 dicembre. “Il primo – hanno già specificano i sindacati – di una lunga serie”.

 
Alla protesta contro i tagli della legge di bilancio 2018 alla sanità hanno aderito: Anaao Assomed , Cimo, Aaroi-Emac, Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn, Fvm, Federazione Veterinari e Medici, Fassid-Aipac-Aupi-Simet-Sinafo-Snr, Cisl Medici, Fesmed, Anpo-Ascoti, Fials Medici, Uil Fpl Coordinamento Nazionale delle Aree Contrattuali Medica e Veterinaria.
 
A denunciare il rischio che tra i camici bianchi, soprattutto giovani precari, possa dilagare una sindrome da burnout (sindrome che comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione e un sentimento di ridotta realizzazione personale, ndr) è Andrea Filippo, segretario nazionale FpcCgil Medici e dirigenti Ssn.
 
È di Costantino Troise, segretario nazionale di Anaoo Assomed, invece, l’idea di paragonare “i pronto soccorso italiani ai peggiori gironi infernali descritti da Dante”, una visione difficile da contraddire ripensando a quei medici dell’ospedale di Nola, in provincia di Napoli, che, in mancanza di letti, hanno curato i pazienti sul pavimento. E quando le condizioni sono al limite dell’accettabile, ha aggiunto Troise “noi ci mettiamo la faccia, non le Istituzioni che tagliano fondi alla sanità pubblica. E se qualcuno mi dice ‘fai un lavoro bellissimo’, io gli rispondo che lo era 20 anni fa. Ora non più”.
 
Tra toni un po’ rassegnati e altri arrabbiati, ce n’è uno in controtendenza, quello dell’onorevole Federico Gelli. Rassicura: “la tassa sul fumo è solo una delle soluzioni a cui abbiamo pensato per reperire nuove risorse. Ne abbiamo studiate molte altre”. Ma su quali siano queste altre Gelli non fa anticipazioni. L’onorevole fa una carrellata di tutte quelle scelte importanti, in ambito sanitario, firmate dall’attuale legislatura. “Dalla sicurezza delle cure, al testamento biologico, fino al consenso informato. Le borse di studio per le specializzazione sono certamente ancora insufficienti – ha sottolineato Gelli – ma comunque triplicate rispetto agli anni scorsi”.
 

Sei i punti attorno ai quali ruota lo sciopero di dicembre. I medici protestano per tutelare la Sanità Pubblica, per il diritto alla cura e a curare. Al secondo punto c’è il contratto di lavoro, poi, si chiede la fine della precarietà. Al punto quattro, le scelte fallimentari della politica. Ancora, chiedono la difesa della professione e l’aumento dei contratti di formazione specialistica.
 
 

 
“Un insieme di fattori – ha spiegato Aldo Grasselli, presidente Fvm - dovuti all’invecchiamento della popolazione italiana, alle cronicità di lunga durata, ai magnifici ma costosi farmaci innovativi, alla non autosufficienza, stanno per mettere in ginocchio la più importante conquista sociale di tutti i tempi: la sanità per tutti, equa e inclusiva”.
 
Aldo Grasselli interviene in un clima teso: dalla platea c’è chi contesta, chi fa sentire la propria voce per evidenziare tutte le promesse disattese, per sottolineare che il lavoro sul campo è tutta un’altra storia. “Un medico di guardia a 67 anni, che cosa guarda?”, usa un gioco di parole Grasselli per evindeziare una delle tante difficoltà, l'età della pensione, che ha portato i medici alla protesta.
 
Il presidente Fvm, mette un po’ d’ordine, per dire puntualmente dove il Governo sbaglia o non agisce: “occorre scioperare per far capire che la misura è colma, che i valzer delle responsabilità rimpallate tra Stato e Regioni hanno stancato, che il definanziamento della sanità pubblica si deve fermare e la finanza pubblica deve tornare a dare risorse pari a quelle che in sanità investono Francia e Germania”.
 
“Lo sciopero - ha continuato il presidente Fvm - non è una ritorsione, ma un appello. Chiediamo l’apertura di una trattativa seria, che tenga conto di tutte le esigenze dei lavoratori per il rinnovo di un contratto bloccato da 8 anni. Chiediamo un confronto sulle esigenze dei giovani medici ai quali viene detto di laurearsi in fretta, e poi? Un anno e mezzo di attesa per l’esame di stato. Ancora, 5 anni per la specializzazione. E dopo? Non è finità: si entra nel tunnel del precariato, di contratti atipici erogati anche dalle stesse realtà pubbliche. Non scioperiamo per le molliche, come dicono alcuni, criticandoci. Scioperiamo perchè crediamo nel sevizio pubblico e vogliamo difendere le esigenze del malato”.
 
E che questa lotta non riguarda solo i professionisti, ma anche i cittadini-pazienti, lo sottolinea Mauro Mazzoni, Fassid, puntando il dito contro l’inadeguatezza delle risorese investite per la prevenzione. “La regione Lazio - ha detto - spende in prevenzione 5 euro per ogni cittadino”.
 
A completare il quadro della situazione ci pensa Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato di Cittadinanzattiva, facendo i conti con i numeri raccolti esaminado l’altra faccia della stessa medaglia: “un cittadino su 3, che chiede aiuto ai nostri esperti, denuncia di avere difficoltà ad accedere ai servizi della sanità pubblica. Aumantano le regioni che non sono in grado di erogare i livelli essenziali di assistenza e si tratta di quelle stesse regioni che hanno migliorato le performance economiche negli ultimi tempi. Come? Tassando i cittadini, tagliando i servizi, il personale sanitario e le risorse”.
 
“Undici e mezzo sono i miliardi – ha continuato Aceti - che sono stati tolti al Ssn dal 2015-2018. 115 dovevano essere i miliardi sul tavolo nel 2018. Oggi nel piatto della manovra ce ne sono circa un miliardo e mezzo in meno. Le possibilità sono due: o il fabbisogno è stato sovrastimato in precedenza o attualmente sottostimato. Temo che siamo di fronte a questa seconda possibilità: una sottovalutazione che porterà il comparto a dover far fronte ad ulteriori tagli. Speriamo in una inversione di rotta. Questa legge di bilancio è una legge che prevede molti bonus. Allora – ha commentato il coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato di Cittadinanzattiva - il mio auspicio è che se ne trovi uno anche per la Sanità pubblica”.
 
E di tutti i benefici che questa legge di Bilancio 2018 porterà ad altre categorie professionali parla anche Costantino Troise, alla guida di Anaoo Assomed: “la scuola porta a casa nuovi scatti di anziantà, bonus. Settori come l’università, la sicurezza possono contare su ministri, oltre che su ministeri. Noi ci sentiamo figli di nessuno. Questa finanziaria registra una frattura tra chi governa il Ssn e chi ci lavora. È una manovra che non da attenzione alla salute dei cittadini, che non trova nessuna risorsa per rinnovare contratti bloccati da otto anni, favorendo le condizioni di lavoro peggiori degli ultimi 10 anni. Bocciamo questa legge di bilancio perché è questa legge a bocciare la nostra professione. Ci faremo avanti in campagna elettorale con un nuovo hashtag ‘prima di votare pensa alla salute’. Perché la situazione attuale è una conseguenza di scelte politiche sbagliate. Noi vogliamo che i nostri pazienti siano tutelati al meglio. E per questo – ha sottolineato ancora Troise - scioperiamo”.

Critica la politica e le sue scelte sbagliate pure Guido Quici, presidente nazionale Cimo: “Con la legge di bilancio 2018, all’esame del Parlamento, abbiamo fatto tredici, ovvero sono tredici le finanziarie consecutive che introducono tagli lineari alla sanità, riducono ed impoveriscono il personale sanitario, deprimono e dequalificano il ruolo del dirigente medico. Finanziarie che portano a privilegiare la sanità privata rispetto a quella pubblica e a creare una situazione di contrapposizione fra medici, personale sanitario e ii cittadini-pazienti”.

“Si sta per aprire una stagione elettorale che si prevede dura e senza esclusione di colpi ma il diritto alla salute è un bene troppo prezioso per finire stritolato nelle liti fra partiti. Occorre che le forze politiche dicano chiaro, da subito, quale welfare hanno in mente, quali risorse sono disponibili e che priorità ha la salute pubblica all’interno dei loro programmi. Le cifre parlano chiaro – ha aggiunto Quici - la politica del de-finanziamento parte dal 2004, quattro anni prima della crisi economica, con la legge Finanziaria n.311 che impone risparmi per 2,6 mld e il limite assunzioni per il triennio 2005-07. Con quella del 2018, di cui si sta occupando il Parlamento, siamo alla finanziaria dei bonus e dei malus. Abbiamo i bonus bebè, elettrodomestici, giardini, case, mobili, ecobonus, bonus cuscinetto per le banche e i malus, come l’abolizione della piramide dei ricercatori, finanziamento Ccnlsanità, lavori usuranti medici”.
 

“Prendiamo il grande accusato, il costo del personale, nel 2010 ammontava a oltre 36 mld, nel 2015 (ultimi dati disponibili) è sceso a poco più di 34 mld, con un calo di 2 mld, di cui 800 milioni per i soli dirigenti medici. Cresce invece - ha detto ancora Quici - la voce relativa agli acquisti, che passa dai 14,8 mld del 2010 ai 17,9 mld dal 2015, con un aumento di circa 3 mld. Ma a pesare di più è la spesa per acquisti dei servizi, pari a 56,4 mld nel 2010 e poco meno nel 2015, con 56,2 mld e un risparmio pari a poco più di 140 milioni di euro. Tuttavia a calare, in realtà, è l’ammontare dei servizi sanitari (-307mln di euro), mentre il capitolo degli acquisti dei servizi non sanitari aumenta, salendo dai 7,5 mld del 2010 ai 7,65 mld del 2015. Quindi è indispensabile un’operazione di chiarezza prima di parlare di nuovi e ulteriori tagli alla sanità”.
 
Che le scelte delle Istituzioni non abbiano avuto buon esito per le sorti della Sanità lo ha ammesso anche Emila de Biase,presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato. “La strategia che abbiamo scelto non è andata a buon fine. Abbiamo puntato su un finaziamento consistente che potesse risolvere tre grossi problemi: contratto, personale e ricerca biomedica itaiana, piuttosto che puntare su una miriade di piccoli emandamenti. Abbiamo costruito la possbilità di accise sul tabacco per 600 milioni di euro, per finanziare farmaci oncologici e cure palliative. In questo modo i 500 milioni già a disposizione per le cure oncologiche e palliative potevano essere dirottati verso le spese della sanità. L’iniziativa aveva anche un profondo senso etico, considerando che il costo delle sigarette in Italia e tra i più bassi d’Europa”.
 
“Ora - ha aggiunto De Biase - non so spiegare fino in fondo perché ho dovuto ritirare l’emendamento. A chi mi ha detto che meno persone avrebbero acquistato le sigarette perché troppo costose, rispondo che non credo sia così. Ma se il nuemro di fumatori fosse diminuito, allora la Sanità Pubblica, nel tempo, avrebbe risparmiato in cure. Speriamo che questi emandamenti possano essere presentati dai colleghi alla camera con maggiore fortuna. Il servizio sanitario italiano è stato invidiato dal mondo intero, ed allora, è necessario che sia rilanciato per poter fare in modo che questa idea - ha concluso - resti immutata”.
 

La partita è ancora aperta, anche per la Sanità pubblica. Alla Camera il gioco delle ultime carte.
 
Isabella Faggiano quotidianosanita.it

30 novembre 2017
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Pubblicato il 11/12/2017, nella categoria: Rassegna stampa